In memoria di Don Gallo

Un ritratto di Don Gallo con la sua mitica sciarpa rossa e il sigaro
Un ritratto di Don Gallo con la sua mitica sciarpa rossa e il sigaro
Un ritratto di Don Gallo con la sua mitica sciarpa rossa e il sigaro

E’ scomparso  Andrea Gallo, prete.

I credenti non ne abbiano a male, ma se c’ è stata una persona legata alla Chiesa contemporanea a  cui poco si addiceva e si addice il termine “don” questo è Andrea Gallo. A meno che, come dice Erri De Luca, quel “don” non lo si usi alla stessa stregua del Don Chisciotte di Cervantes.

Perché Andrea Gallo è stato prima di tutto un sognatore, convinto fortemente che i principi di equità sociale e culturale avrebbero dovuto garantire una vita dignitosa a chiunque, contro ogni falso moralismo e ogni tabù. Ma è stato sognatore coi piedi ben piantati per terra: cosciente delle follie in cui il nostro mondo è precipitato e dei pregiudizi che hanno da sempre regolato la vita di ogni giorno.

Ed è per questo che Andrea Gallo è stato, forse  soprattutto, uno strenuo combattente. Contro i pregiudizi, contro i dogmatismi vetero-conservatori della Chiesa “moderna”, contro la vacuità e la pochezza delle parole e degli atteggiamenti della politica di Palazzo.

La sua vita è stata una lotta continua. A partire dalla sua giovinezza, fatta di numerosi trasferimenti  a causa dei suoi modi di agire rivoluzionari, che poco andavano d’accordo con la rigorosità e le regole ferree che i vertici della chiesa imponevano. Già protagonista , da ragazzo, della Resistenza contro il regime fascista, si fece subito notare quando, in qualità di cappellano di un riformatorio per minori, cercò di sostituire i metodi prettamente repressivi adottati con una pedagogia basata sulla libertà e sulla fiducia. Dopo i primi malumori della Diocesi, lo troviamo dapprima cappellano nel carcere di Capraia e poi vice-parroco nella Parrocchia del Carmine a Genova. Benchè avesse ravvivato l’ambiente parrocchiale attirando l’ attenzione e la curiosità di molti giovani per offrire assistenza, amicizia e solidarietà ai poveri e agli emarginati, fu nuovamente trasferito, nel 1970, a Capraia.

A quanto pare, l’episodio che provocò questo nuovo scontro con la Diocesi è da ricondurre a quanto don Andrea Gallo disse durante un’omelia. Nel quartiere era stata scoperta una fumeria di hashish che aveva suscitato l’indignazione di tutta l’ alta borghesia residente. Don Gallo parlò dell’ esistenza di droghe ben più torbide e subdole, come le droghe del linguaggio, con cui un ragazzo, se figlio di povera gente, può diventare “inadatto agli studi”, oppure un bombardamento su popolazioni inermi può essere giustificato perché “azione a difesa della libertà”. Fu qui che si creò l’ appellativo di prete comunista . Ovviamente una tale sprovvedutezza nell’ uso delle parole da parte di un proprio subordinato non andò a genio al Vescovo di allora, il quale, sordo ai cori di protesta che si erano alzati a difesa di don Gallo, fu inamovibile sulla sua scelta.

Pur obbedendo, Don Andrea rinunciò all’incarico e poco tempo dopo fu accolto dal parroco di San Benedetto al Porto dove, insieme ad un piccolo gruppo di amici, diede vita alla omonima comunità, la cui fama negli anni è rimasta intatta se non addirittura aumentata.

Si è distinto per gesti eclatanti, come quello di cantare “Bella, ciao” in Chiesa durante una funzione, o quello di fumare uno spinello nel palazzo comunale di Genova in segno di protesta a favore della legalizzazione delle droghe leggere, o quello ancora di presentarsi dappertutto con sciarpa rossa e sigaro in mano; e memorabili rimangono anche altre sue parole, come l’orazione funebre per Fernanda Pivano, tenuta il 21 agosto 2009, o l’ articolo in ricordo dell’amico Fabrizio De Andrè, pubblicato qualche giorno dopo la scomparsa del grande cantautore.

Una vita fatta di grandi “fughe” dalle regole sorpassate e troppo vicine ai poteri forti e di piccoli grandi gesti come la difesa della pace, manifestata anche tramite atti di disobbedienza civile, o la totale dedizione agli emarginati e agli esclusi della società. Che fossero prostitute, omosessuali, trans-sessuali o tossicodipendenti poco importava per lui, che poneva davanti a ogni cosa il rispetto per la persona e per la libertà individuale. Acerrimo nemico dei disagi sociali imposti dall’ ipocrisia che anche la Chiesa ha contribuito a fortificare. Una personalità, prima che un sacerdote, che è difficile non ammirare per  come si è sempre schierato a difesa delle minoranze e dei poveri , a favore della libertà con la “EllE” maiuscola e contro la repressività di regole scritte solo per salvaguardare i benefici di pochi. E la cui assenza avvertiremo ogni qualvolta sentiremo parlare di soprusi e di ingiustizie.

Non c’è modo migliore di ricordarlo e celebrarlo se non con le ultime due strofe di quel capolavoro eterno che è la canzone “La città vecchia”(guarda caso ispirata alla Sua Genova) del grande amico Fabrizio De Andrè:

“Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli 
In quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori 
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano 
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano. 

Se tu penserai, se giudicherai 
da buon borghese 
li condannerai a cinquemila anni più le spese 
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo 
se non sono gigli son pur sempre figli 
vittime di questo mondo.”

Ed è bello pensare che  da qualche parte dell’ universo ignoto che ci circonda, ci sia un aldilà che li accolga abbracciati insieme.

Antonio Pellegrino

 

By Teresa

Giornalista, ora anche blogger, vive nei dintorni di Soverato con il marito Orlando e i due figli Viola e Luigi. Cerca di scrivere quello che di bello e di brutto succede nella sua terra, e conservare obiettività e serenità anche quando il contesto non aiuta.

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