L’ultima notte di Scolacium di Francesco Brancatella, un canto d’amore per la nostra terra

unsIl 9 agosto del 2014 un evento ha segnato la quiete estiva della costa ionica nel dolce Parco della Roccelletta: centinaia di calabresi hanno pianto insieme per la loro terra e i loro destini…
Eravamo giunti in quel meraviglioso sito richiamati dal titolo del dramma rappresentato:”L’ultima notte di Scolacium” una rappresentazione poetica di Francesco Brancatella.
Nella luna che lambiva le rovine di Scolacium,la citta’ romana di Squillace, facendole scintillare nella notte, non ci aspettavamo di incontrarci cosi’ profondamente con la nostra storia, storia vera e intrecciata a suggestioni di vita immaginata ..tutto si è sapientemente integrato in un gioco di emozioni ancestrali ,che hanno toccato profondamente il cuore di ognuno di noi…
Tra le luci ipnotiche che gia’ dall’ingresso ci hanno avvolto trasportandoci in pleniluni di tempi remoti ,tra mattoni rossi superstiti alla furia del tempo e degli uomini ,la cattedrale ha fatto da palcoscenico maestoso alla storia di uomini e donne di questa terra ,che si dipanava in un continuum di note di parole e di musica.
Quattro figure in penombra gia’ ci accoglievano ferme sul loro posto in scena ,immobili sul palcoscenico mentre noi prendevano i nostri posti, statici simulacri di un passato che rimane fermo sulle nostre rovine, fermo nella memoria di chi vuole ricordare, immutabile testimone di eventi ancora presenti in ognuno di noi..
Il fiume della storia ha cominciato a fluire e in un silenzio irreale abbiamo ascoltato attenti le vicende delle conquiste della nostra terra..avevamo studiato sui libri di scuola la conquista e il regno Normanno, ma in quel momento tutti insieme abbiamo cominciato a comprendere come quella storia riguardava ognuno di noi, la storia stava uscendo dai libri di testo e diventava una realtà viva e palpitante ,inscritta in ciascuno.
Se , come è vero dalle recenti scoperte scientifiche ,che il nostro patrimonio genetico è influenzato dalle esperienze ambientali nella sua espressione, e non il contrario, come finora si è ritenuto, gli eventi del passato di un popolo restano dunque inscritti nel suo codice genetico, modificato dagli eventi stessi, e andra’ a costituire la memoria cellulare indelebile, che sara’ trasmessa alle generazioni successive.. la storia dunque determina quello che siamo.. In quella notte è come se tutto questo fosse arrivato alla coscienza e abbiamo riconosciuto, che ,se siamo come siamo, quella storia ci riguardava dunque personalmente.
Quelle vicende sono rimaste inscritte nella memoria cellulare di ognuno di noi, dimenticate, sepolte ,rimosse..
Ma la poesia non lascia difese e, dove non puo’ arrivare l’intelletto, puo’ arrivare la parola poetica, che scardina i nostri rifugi e ci riporta alla nostra semplice verita’…e cosi’ quella notte ,tutti insieme abbiamo cominciato a “sentire” la nostra storia ,a guardare quello che siamo perchè quello che ci ha preceduto è presente in noi..abbiamo riconosciuto il dolore che la nostra terra e i nostri avi hanno vissuto, ma anche lo splendore di un regno al “centro” della storia: abbiamo riconosciuto che
ognuno di noi porta dentro dolore distruttivo e energia di resurrezione, come ogni calabrese sa di avere.
Si animavano le figure ,prima immobili nella memoria del palcoscenico ,disegnando gli archetipi del maschile e del femminile saldamente rappresentati nella nostra cultura.
Il saggio Cassiodoro che guarda la realta’ col distacco della esperienza, ha il compito di rappresentare l’amore sconfinato per questa terra ,quando descrive gli uliveti e le dolci colline e il sole che sorge su esse dal mare: un sentimento d’amore che ogni nato qui conosce, inspiegabile legame alchemico che non si scioglie a nessuna età e in nessun modo: l’amore per le dolci colline è quello che ci fa qui sempre tornare anche quando la vita ci porta altrove..
Poi l’uomo guerriero, il desiderio di conquista , la furia di possesso, il desiderio dell’impossibile con Boemondo..lo stesso desiderio di conquista, la furia omicida ,il bisogno di combattere, quello che ha solo conosciuto fin da bambino con Ruggero. . finche’ un canto ,una nenia su una tomba….ancora poesia…non gli apre il cuore…
La bellezza e l’amore penetrano nel cuore e rompono la maschera di violenza..la musica di Piovani compie il miracolo della trasmutazione…
I nostri uomini di Calabria ,fino a solo una generazione o due fa ,padri padroni chiusi nella armatura di uomini guerrieri, maschera di potere ,che esercitavano sui figli e sulle donne ,intrappolati nella loro corazza che gli impediva l’amore…
Il femminile è rappresentato da due donne: Adelasia e la fata Morgana.
Adelasia ,la cui vita e il cui destino sembrano non appartenerle: prima sposa bambina di Ruggero, uomo molto piu’ vecchio di lei, cui regala l’illusione della giovinezza con la sua presenza, convinta che l’amore fosse quello ,si abbandona a quella che crede la felicita’, non sa e non puo’ andare oltre, il suo destino è segnato da altri e sul suo orizzonte non c’è spazio per una sua scelta personale.
Quando incontra Boemondo, fulminata dall’amore… tace….
Il silenzio delle donne di Calabria, ancestrale suono di sofferenza e patimenti, appartiene a passive figure destinate a soddisfare i loro uomini .Adelasia ci richiama alla mente ,seppur lei è una nobile figura venuta dal nord ,le nostre donne contadine che fino a qualche generazione fa avevano il loro destino e il loro matrimonio scelto da altri, inconsapevoli che ci potesse essere un’altra strada ,chiuse all’interno della volontà di chi aveva potere ,pronte a dare tutto di sè ,come Adelasia che dà via la sua terra e la sua abbazia per soddisfare le mire di potere di Boemondo.
Abbiamo tutte riconosciuto un modello del femminile saldamente rappresentato in noi, che seppur apparentemente soppiantato da altri modelli piu’ libertari e edonistici, agisce e opera ancora nell’inconscio di ogni donna calabrese .
La fata Morgana, figura fantasmatica e non reale ,mito della donna con poteri oscuri, infelice anima la cui vita e realta’ non viene riconosciuta dall’uomo amato, richiama un’altra rappresentazione inconscia del femminile in questi luoghi: laddove non era donna passiva e pronta a soddisfare altri, si trasformava in figura inquientante, fuori dagli schemi, non riconosciuta, trasformata ,per quanto ha osato fare e sperare, in una strega inquietante.
Il destino delle donne calabresi, che quando hanno voluto esprimere la loro liberta’,il loro desiderio di amore,sono apparse come figure non umane, fuori dai canoni del conoscibile e del conosciuto, ammantate dal velo della magia oscura..e la fata Morgana, sapientemente vestita dai costumi di Flora Brancatella ,ci riporta, con i suoi veli trasparenti, alla dimensione del magico e dell’esistente inesistente, all’invisibile presente, agli occulti poteri che in Calabria venivano attributi alle donne che “desideravano”.
E quale è il comune destino di queste due donne? Sospese in una realta’ che non gli appartiene, non riconosciute nella loro profonda essenza, private della loro energia profonda e vitale, esprimono ambedue un desiderio di morte..
Eros e Tanatos, nella tragicita’ di queste figure,l’amore e la morte si incontrano senza scampo….
Quale riscatto per i nostro femminile? Quale possibilita’ di essere riconosciute nella creativita’ e nella energia profonda che il femminile puo’ esprimere?..
Anche questa risposta ci viene da questa rappresentazione,,perche è proprio una donna, Cristina Mazzavillani Muti, che con la sua creativita’ ci offre una visione di quello che puo’ essere: il femminile, supera gli schemi di oscura passivita’ e libera le profonde e sorprendenti energie a lungo tenute imbrigliate.
Esplode cosi’ una infinita capacita’ di rappresentare la poesia, il canto ,la musica ,la danza e il colore, la vita e la morte ..in sapienti movimenti Cristina concilia gli opposti, con gesti di grande amore infonde la sua energia ad ogni singolo frammento dell’opera.
Veniamo trascinati dall’amore e dall’energia, il femminile risorge in una sintesi perfetta aprendoci il cuore,come a Ruggero, permettendoci cosi’ di rivisitare il nostro grande passato e sperare in un grande futuro.

Rosa Brancatella

 

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