Saverio Liguori, architetto e pittore innamorato della sua terra

Subito dopo l’incipit di quel bellissimo film di Giuseppe Tornatore che è La migliore offerta (2012), il battitore d’asta ed esperto d’arte confessa che per essere un bravo artista non «basta saper impugnare un pennello e amare la pittura». Ma evidentemente occorre possedere ben «altri sentimenti». Ed altri requisiti. Come potrebbero essere il possesso di una buona tecnica, una solida cultura, la conoscenza della storia della propria terra, forti legami con i valori fondanti e le tradizioni dell’ambiente in cui si è nati e cresciuti. Oltre, beninteso, a quella capacità, o virtù, di avvertire passioni ed emozioni. E alla volontà di comunicarle e trasmetterle agli altri, che è alla base di ogni espressione artistica.

Tutte caratteristiche, queste, presenti nella personalità e nelle opere di Saverio Liguori (1933-1988), professionista e artista ingiustamente dimenticato fuori dai confini della cittadina di origine, Cariati, nella quale è vissuto prima di trasferirsi e mettere radici nella capitale. Dove è prematuramente morto a soli cinquantacinque anni. I cinque lustri appena trascorsi dalla sua scomparsa sono stati scanditi dalla ristampa di un volume, Saverio Liguori, l’architettura come ideale (il serratore), che sebbene sia stato scritto da un suo fratello, Cataldo, è lungi dall’essere agiografico e celebrativo tout court. Al contrario, è un  saggio lucido e conciso che raccoglie con serenità e obiettività critica, opere, progetti, segrete aspirazioni del proprio congiunto dal carattere schivo e dimesso ma di elevate capacità artistiche e professionali.

Non è per niente facile accostare Saverio Liguori, architetto di professione con studio in via Emanuele Filiberto a Roma, e pittore e disegnatore per passione e intima vocazione, dentro gli schemi di una scuola o corrente ben definite. Tuttavia la sua grammatica, i suoi stilemi, il messaggio che traspare dalle sue realizzazioni hanno dei riferimenti paradigmatici precisi e marcati in alcuni autori. Su tutti, Le Corbusier, uno dei massimi rappresentanti della moderna architettura del XX secolo, e Frank Lloyd Wright, principale esponente dell’architettura organica.

Di quest’ultimo, in particolare, ha sposato il concetto-cardine del rapporto fra edificio e natura circostante adattandolo alle caratteristiche storiche e morfologiche della sua Cariati e del territorio circostante. E anche della fluidità degli spazi, dei corpi aggettanti, della contrarietà di inseguire le «grandi concentrazioni urbane» e di dare enfasi e priorità all’elemento intimistico e familiare nelle abitazioni. E a questo si è sempre ispirato nelle tante progettazioni sia nell’Urbe (ha lavorato al rifacimento della facciata prospettica del policlinico Gemelli) sia altrove (suo è il municipio di Novara). Ma su ogni cosa in Calabria, dalla quale non è riuscito mai a staccare il cordone ombelicale che lo teneva legato: da Cariati Marina a Cirò, da Corigliano a Crotone.

Notevole è stata la sua produzione pittorica. Degli anni giovanili dell’università di Roma, spicca una chiara connotazione impressionista: Via della scrofa, Caffè Rosati, Piazza Navona, Il Colosseo, tutti dipinti eseguiti en plein air. E prima ancora, delle tele a soggetto classico e altre di genere che sono fortemente rivelatrici di un innato e indiscusso virtuosismo e di precoce padronanza tecnica ed espressiva. Di pregevole fattura sono alcuni ritratti a olio, in primo luogo dei genitori e dell’ex vescovo della sua città, Eugenio Raffaele Faggiano, e altre di soggetto religioso.

Pieni di pathos infine – e nei quali è facile capire come l’artista fosse in possesso di una intensa carica emotiva e rievocativa degli avvenimenti storici –, sono i tanti disegni a matita, a pastello, a china e che immortalano avvenimenti ancora vivi nella memoria collettiva, come l’assedio piratesco di Cariati da parte del turco Barbarossa, nel 1544. E così pure quelli che ritraggono scorci panoramici di particolare fascino, scene di vita quotidiana o le tante attività rurali e artigianali – Il maestro d’ascia, Il vasaio, Le tessitrici –, oggi quasi scomparse e che erano tra le caratteristiche tipiche della civiltà contadina.

 (Francesco Pitaro in Gazzetta del Sud, Arte, Cultura, Spettacolo in Calabria, 9 marzo 2014)

 

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