Storia del soldato Vito Vitrò, emigrato negli USA dalla Calabria, morto in Vietnam

Era la metà degli anni Sessanta, l’Italia incominciava ad assaporare il boom economico, ma il Sud viveva ancora di speranze riposte nell’emigrazione; in qualche caso quelle speranze vennero inesorabilmente tradite in modo beffardo dal destino. Di questa triste storia, degna di esser raccontata, che mi accingo a rendervi nota, dopo anni, quello che rimane – oltre ai mai sopiti e struggenti ricordi e qualche strada che porta il nome della persona a cui l’articolo è dedicato – è una tomba, mai dimenticata, in un cimitero di un piccolo paese del Sud, con quella scritta “morto in Vietnam” che urla il controsenso di una nota discordante nel muto e perenne requiem di quei tristi sepolcri. Questa è la storia del soldato Vito Vitrò, emigrato negli USA dalla Calabria medio ionica nel 1964, arruolatosi nel 26° Fanteria dell’ US Army nel 1968 con destinazione finale i campi di guerra del conflitto in Vietnam, allora in pieno svolgimento.

Vito Vitrò 7 marzo 1948 _ 26 febbraio 1969Alcuni mesi or sono ho incontrato il fratello Franco, suo fratello maggiore, classe 1944, che lo vide crescere fin dal giorno in cui venne al mondo. Due fratelli, il maggiore ed il minore che condividevano tutto, il più piccolo sempre coccolato, al quale molto era concesso. È stato lui che in una piacevole intervista informale mi ha raccontato la storia del fratello.

Vito Vitrò nacque nel comune di San Vito sullo Ionio il 7 marzo del 1948, da Giuseppe Vitrò e Rosa Amodio; all’età di dieci anni, nel 1958, la famiglia si trasferisce in contrada Laganosa, conosciuta anche come Marina di Satriano. Ivi rimase fino alla sua partenza per gli States. Il motivo del trasferimento in Laganosa fu che i suoi genitori avevano infatti aperto un caseificio in società, ancora esistente e rinomato nella zona. Il ragazzo, dunque, trascorre un’infanzia tranquilla e normale a San Vito per poi trasferirsi sulla costa, senza grossi cambiamenti. Vito, quindi, quasi come la maggior parte dei giovani non volle continuare gli studi, e perciò dava man forte al caseificio di famiglia e soci a Satriano.

Lui era l’addetto alla postazione nel paese di Satriano; un bravissimo ragazzo che si faceva ben volere da tutti. Amava la musica, ed amava cantare; in special modo i pezzi del “Molleggiato”. Qualcuno lo ricorda ancora, quando si esibì per l’ultima volta sul palco della pubblica piazza a Satriano per la festa di S. Cosma. Franco, come quelli che lo conobbero, lo ricordano come una ragazzo educatissimo e molto rispettoso; il rispetto era uno di quei lati che lo caratterizzeranno sempre in verità.

Intanto, il fratello maggiore, il più grande di tutti, Giuseppe, chiamato da tutti ormai, Joe, si era ormai da tempo sposato e trasferito negli Stati Uniti d’America. Nel 1963 i coniugi Vitrò decisero di imbarcarsi anche loro per l’ “avventura americana”; essi infatti volevano assicurare alla famiglia un futuro migliore e luminoso, specie per il giovane Vito.

La vita nel Meridione per loro, non si prospettava luminosa, non li ripagava dei sacrifici fatti. E, dunque, mentre la famiglia decide allora di partire, Vito deve rimanere in Italia con Franco e sua sorella Maria, in attesa dell’atto di richiamo da parte dei genitori. Dopo un anno arrivò il tanto atteso documento, era il 1964. Il fratello ricorda ancora il giorno della partenza avvenuta di novembre, e il giovane “avventuriero”, suo malgrado, partì pieno di speranze e di attesa per il sogno americano, circa il quale l’ormai navigato fratello Joe aveva ben rappresentato le speranze, giacché erano circa dieci anni che egli viveva a Mamaroneck nella contea di Westchester; fu Franco stesso che accompagnò Vito al piroscafo, per poi prendere la nave in altro porto per un viaggio lunghissimo ed estenuante.

Arrivò dunque negli States e si ricongiunse con i suoi genitori e la famiglia del fratello maggiore. Iniziò così a lavorare, per poi, di sera, seguire i corsi serali per imparare l’inglese. È probabile che, una volta lì, Vito si fosse subito reso conto che senza la cittadinanza non ci poteva essere grande dinamicità ed avanzamento sociale, e fu così che, qualche anno dopo, esattamente nell’estate del 1968, mentre i suoi genitori erano tornati in Italia al paesello per una vacanza estiva, Vito colse la proposta di arruolarsi nell’esercito degli Stati Uniti coinvolto a piene mani nella tragica, quanto ben tristemente nota guerra del Vietnam.

Sono le parole del fratello che ricordano quella estate che scioccò la vita sua, quella dei suoi genitori e della sua famiglia: “Da quelle poche cose evasive che ho potuto captare, la cosa può esser andata più o meno in questi termini, ossia, gli proposero di arruolarsi, e lui probabilmente accettò, anche perché i miei genitori erano venuti in Italia per un mese, erano qui in vacanza a Satriano,e ricordo quando arrivò la notizia che lui sarebbe dovuto partire; è probabile che si fosse arruolato per avere subito dopo in cambio la cittadinanza americana. Essa era un po’ il punto di arrivo per una vita nuova … Partì, dunque, che doveva esser agosto o settembre; lo ricordo bene, perché ad ottobre sarebbe nato il mio primo figlio, e lui doveva venire a battezzarlo, e lui non è più venuto. Io gli scrissi una lettera, che lui non ha mai ricevuto, perché mi tornò indietro. Quella guerra era proprio balorda! Partì dopo pochissimo tempo dall’arruolamento!”

La storia di quella tragica e maledetta giornata del soldato Vitrò viene accuratamente descritta nel documento che attesta il conferimento della “Medaglia Stella di Bronzo”, firmato dal Capitano Harold W. Chester e controfirmato dal Colonnello Archie R. Hyle:

“In dato giorno (26 febbraio 1969) il soldato di prima classe Vitrò era in attività di guerra come fuciliere con il suo plotone in un’operazione di ricognizione. Procedendo nella fitta vegetazione, la forza amica si è avvicinata ad una postazione nemica. Prima di entrare nell’area, si convenne di adottare una formazione a trifoglio per i luoghi circostanti. Il soldato di prima classe stava procedendo nella formazione di testa quando la pattuglia si trovò sotto pesante fuoco nemico da armi automatiche e normali armi da fuoco. Egli velocemente avvertì i suoi commilitoni e si avvide della posizione delle fortificazioni degli insorti. Quindi si mosse in modo tale da avere una favorevole posizione di tiro e venne mortalmente ferito dalla raffica dell’aggressore. Il suo altruistico coraggio e la sua determinazione sono stati motivo di sprono per i suoi commilitoni ed hanno contribuito al compimento della missione della sua unità. La notevole dimostrazione di aggressività, la devozione al dovere ed il coraggio personale del soldato di prima classe Vitrò sono in linea con le più alte tradizioni dell’apparato militare e apportano grande credito alla sua persona, alla 1a Divisione di fanteria e all’Esercito degli Stati Uniti”

Il soldato Vitrò è stato decorato con le croci al valore del “Purple Heart” (Cuor Porpora), della “Bronze Star Medal” (Medaglia della Stella di bronzo) e della “Army Commendation Medal” (Medaglia all’onor militare dell’Esercito). È inutile dire che Rosa e Giuseppe, i genitori di Vito, erano completamente devastati, e la loro vita non fu più la stessa; il loro figlio rammenta con malcelato enorme dispiacere il loro dolore che li accompagnò per tutta la vita. “Per loro non era più ormai vita, velata di una gran pena e rimpianto, non vivevano più; giacché era per Vito, perché era il più giovane, che erano andati in America; perché volevano garantirgli un futuro migliore; Joe era sposato e sistemato; io stavo andando all’università qui e prima o poi avrei trovato un ottimo lavoro; mia sorella Maria, era sposata e accasata con figli; era per lui che erano andati lì e la guerra gliel’aveva portato via, lasciando nei loro cuori un vuoto incolmabile. Fu così che su mie pressioni li invitai a tornarsene in Italia ed a trasferire la salma al paese.”

La salma del soldato Vitrò dal 1969 era stata tumulata in un cimitero locale della contea e ivi rimase fino alla fine degli anni ’70 quando i genitori richiesero esplicitamente al Governo americano che la salma fosse trasferita in Italia. Qualcuno ricorda quel giorno, quando la bara, avvolta nella bandiera americana, arrivo nel piccolo e tranquillo paesino della provincia calabrese, San Vito sullo Ionio. La salma del soldato Vitrò era tornata nella sua dimora terrena definitiva. E quella tomba, con quella foto, quel nome e con quella dicitura, “morto in Vietnam”, che a triste meraviglia di chiunque l’avesse letta, narravano tutta la storia di quel giovane.

Qualcuno ha scritto nella remota classicità, “dulce et decorum est pro patria mori”, ma qui si smentisce la poetica retorica, seppur “magistra”; smentiamo altresì il fatto che non è mai dolce morire per nessuna cosa. Vito era uno di noi, non solo un giovane caduto in guerra; era un ragazzo che aveva lasciato la sua terra, non con la rabbia nel cuore, non come un novello immortale Achille amante della guerra, ma come un ragazzo che amava la vita, la musica, gli amici e soprattutto la speranza. Vito amava quel sogno americano diffuso a piene mani. Ma è stato quel sogno che lo ha tradito. Vito in America non c’era andato certo per morire.

Emigrante, dapprima, con il sogno americano nel cuore; soldato, poi, per dare un contributo attivo a quel sogno; caduto, infine, tradito dal crudele fato quanto dal sogno medesimo che aveva abbracciato, in quella assurda guerra – inutile come tutte le guerre – che ha gettato innumerevoli vite sul altare dell’avida morte – da tutte le parti che la combatterono indistintamente.

Sabato 21 settembre, l’Amministrazione di San Vito sullo Ionio, con tutte le Autorità e i familiari hanno ricordato con una pubblica cerimonia il sacrificio di uno dei nobili figli di questa terra, Vito Vitrò, intitolandogli una strada. (Una strada gli è già stata intitolata nel comune di Satriano ndr.)

Per quanto concerne l’aver fatto conoscere la suddetta storia e/o quanto l’aver ravvivato in molti compaesani il ricordo del compianto Vito, un sentito ringraziamento va alla pagina del gruppo Facebook “Sanvitesi nel Mondo – Amare San Vito Ionio”.

Giuseppe Caglioti

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *