Amarcord della Soverato dei formidabili anni sessanta

Come eravamo, brillante saggio di Franco Cervadoro

Franco Cervadoro

Franco Cervadoro

Forse è eccessivo parlare di una età dell’oro per Soverato, la cittadina che per la sua posizione geografica e le sue impagabili attrattive paesaggistiche è stata definita con le più disparate e lusinghiere locuzioni: da Reginetta del golfo di Squillace a Perla dello Ionio… Tuttavia ci fu un periodo in cui questa località a spiccata vocazione turistica e commerciale esercitò un particolare fascino. Fu meta di vacanzieri stranieri. Fu laboratorio di produttive attività economiche promosse da lungimiranti imprenditori. Fu animata da una generazione, di giovani e meno giovani, perlopiù educata dai salesiani con il loro prestigioso ginnasio-liceo, che usciva dalle ristrettezze della guerra e assaporava la gioia di vivere in una realtà sociale che a volte virava nel surreale. E dove le differenze sociali contavano così poco che finivano con l’annullarsi.

E dire che non mancavano pretesti per accese contrapposizioni di natura politico-amministrativa tra i due memorabili schieramenti: democratici-cristiani guidati da Antonino Calabretta, sotto l’effigie della Donna Turrita, da una parte; i social-comunisti, facenti capo a Luigi Sangiuliano, con l’emblema della Tromba. Con il “Rito del limone”, con ineluttabile appendice di sfottò per i perdenti, a corollario di ogni campagna elettorale. Innumerevoli gli aneddoti, a riguardo. Come le affollate visite di Giacomo Mancini, nel periodo in cui ricopriva la carica di ministro dei Lavori pubblici; il conferimento del titolo di città a Soverato da parte del presidente Saragat. O quella che vuole che le due fazioni, come in Usa con la Coca-Cola e la Pepsi, si caratterizzavano, secondo una studiata prossemica, nella frequentazione di due locali che commerciavano altrettanti prodotti di birra: Peroni, dell’avvocato Alcaro, per i democristiani; Dreher, del cavaliere Loiero, per i social-comunisti.

Sono quadretti, fotogrammi, a volte dagherrotipi seppiati, scene di vita vissuta che emergono dalla recente pubblicazione di Franco Cervadoro,  Come eravamo, stampato da Abramo Printing & Logistics, frutto di una miscellanea di  interventi che l’autore ha fatto uscire sul sito SoveratoWeb e che molto favore ha riscosso nell’ambiente degli internauti. Già il titolo è di per sé un programma. Un “amarcord” degli anni Sessanta-Settanta per mezzo del quale l’autore, che di professione fa l’avvocato, senza per nulla apparire l’oraziano e improbabile “laudator  temporis  acti”, mette sotto i riflettori – lo fa con uno stile rarefatto e piacevole, e un eloquio allettante – le non poche eccellenze che costituivano la cifra dominante per Soverato nel momento in cui essa si stava imponendo come località turistica che non aveva nulla da invidiare a quelle di prima grandezza.

E così, che so, se Forte dei Marmi aveva la sua Capannina e il suo Achille Franceschi, e Marina di Pietrasanta aveva la sua Bussola e il suo Sergio Bernardini, Soverato non era da meno. Disponeva della sua mitica Rotonda e del suo ideatore nella persona di Ferdinando Procopio che chiamò il suo stabilimento, interamente di legno, “La perla dello Ionio”. «La Rotonda – scrive Cervadoro – era sospesa su una palafitta protesa sul mare, con una veranda coperta ed una balconata avanzata». Indimenticabili le serate danzanti e i concorsi di bellezza allietati dalle note «della romantica Orchestra azzurra» e dalla «geniale idea dell’annuncio della “Pizza-minuto-per-minuto”». Da un certo punto in poi la piattaforma di legno sul mare scomparve in seguito a una mareggiata e incominciò l’era dell’esclusivo e snob Miramare. Dove, «sotto l’ombrellone», l’habitué Alberto Testa componeva per Mina, nell’estate del 1962, le parole di Renato, ispirandosi al «suo amico Renato Alecci…così carino così educato». Allo stesso tempo venate da un non so che di pàthos sono le tante altre rievocazioni: dall’ormai scomparso Cinema Lido al vecchio Zampillo, dalle feste di San Martino agli originalissimi Giochi di Eutimo degli anni Ottanta. Senza dimenticare, ovviamente, il raffinato Bar Scalamandrè gestito dall’ineffabile don  Peppino coadiuvato da Totò Bilotta, l’inseparabile «cameriere di Maida dal naso rosso».

  (Francesco Pitaro in Gazzetta del Sud, Arte, Cultura, Spettacolo in Calabria, 15 settembre 2013)

La copertina del  libro

 

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