Umanità e storicità dei Vangeli

domenica-delle-palme I due avvenimenti dell’antichità che conosciamo meglio, direi nei particolari, sono la congiura di Catilina e la Passione di Cristo. Di questa parlo ora qui in termini storici e umani, sperando che i lettori siano già edotti del senso santo della Morte e Resurrezione, e non aspettino me che glielo spieghi.

 I profeti muoiono a Gerusalemme, la città che è sacra senza essere sempre anche santa; e che è sede di tre poteri e pensieri non concordi: quello dei re (o equipollenti, secondo i tempi), tendenti a una certa laicità; quello del sacerdozio organizzato attorno al Tempio e alle asfissianti regole del giudaismo; e quel poco che rimane dell’ebraismo e della genuina tradizione mosaica. I profeti sono sempre in qualche modo eversivi dei primi due poteri: troppo lungo spiegarlo qui; leggete i Libri di Simeone sull’istituzione della monarchia. Anche Gesù, come Giovanni Battista, subirà a Gerusalemme il peso dei poteri ieratico e statale.

 La situazione è resa complessa dall’appartenenza della Terra Santa, dai tempi di Pompeo, alla provincia di Siria dei domini di Roma, che tuttavia mantiene alcune autonomie locali: la tetrarchia dei figli di Erode, tra cui l’Erode tetrarca di Galilea, e un certo spazio politico per il sinedrio. Risiede a Gerusalemme con delle truppe Ponzio Pilato.

 Emblematica è la vicenda delle Palme: la folla accoglie Cristo in trionfo come un principe piuttosto che come un santo; quella stessa folla che, pochi giorni dopo, griderà con uguale foga il Crucifige: esempio evidente della fragilità dell’animo di ogni singolo uomo, e, soprattutto, della superficialità degli entusiasmi popolari di massa e della facilità di manipolarli!

 Gesù predica alle genti, e compie un atto direi eversivo nei confronti dei mercanti del Tempio, senza sulle prime incontrare opposizione, anzi ottenendo consenso.

 Sembra che proprio questo trionfo determini i sommi sacerdoti Anna e Caifa, e con essi la maggioranza del sinedrio, ad assumere decisioni estreme. Essi tuttavia non possono agire direttamente, e devono rivolgersi al governatore romano. Formulano però nei confronti di Gesù accuse di mero carattere religioso, e non trovano da tacciarLo di colpe personali o politiche. A Pilato rivolgono insinuazioni circa la presunta pretesa di Lui di proclamarsi re. È un’evidente ambiguità del termine, che nel linguaggio di Cristo non ha valenza istituzionale; e che i farisei presentano come una rivendicazione del trono contro Tiberio Cesare: e ciò sebbene Cristo nella sua predicazione non avesse mai affrontato tematiche sociali e politiche se non in senso strettamente spirituale, anzi avesse dichiarato “Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”. C’è, in nuce, in questa vicenda tutta la futura e travagliata storia d’Europa e d’Italia, da Costantino ai Patti Lateranensi!

 Interviene qui la figura misteriosa di Giuda. Appare chiaro nella narrazione evangelica che il suo ruolo nei fatti non è, banalmente, di “indicare” fisicamente Cristo, che era a tutti ben noto, come dice Egli stesso; ma forse “indicare” qualche calunnioso motivo per poterlo arrestare. Giuda affascina per la sua ambiguità, e forse ricorderete i drammi “Il pane di Giuda” e “Iudas”, di U.N. con regia di Pittelli.

 Il processo è pubblico; e si svolge soprattutto su una questione di competenza. Pilato non intende, sulle prime, entrare in una faccenda religiosa, di cui non solo ignora i termini, ma non si cura: è un uomo della cultura grecoromana del suo tempo, intrisa di filosofia divulgata e di vago scetticismo, e mormora “Cos’è la verità?”, con la lucida disperazione di ogni epoca razionalistica e scettica: come in questo 2015, del resto.

 Pilato tenta di coinvolgere i reuccio di Galilea e perciò in qualche modo sovrano di Gesù, il pallido Erode. Questi, uomo debole e nelle sensuali grinfie di Erodiade e Salomè, ha fatto uccidere il Battista; ma non trova il coraggio di pronunziare una palese sentenza, e rinvia il caso a Pilato.

 Ai farisei non resta che aizzare la folla, minacciando Roma di un’agitazione che andrebbe repressa con la forza. Pilato ha già dovuto agire duramente, pochi mesi prima, con la morte di mille e cinquecento ribelli; e non aveva certo molta voglia di ripetersi.

 Intimamente è convinto dell’innocenza di Gesù, o comunque che le Sue eventuali colpe non lo riguardino; e prova una specie di “provocatio ad populum”, proponendo la liberazione o di Gesù o di Barabba. Su questo si è molto detto, e anche fantasticato, a cominciare da un’interpretazione letterale del nome in bar abba, figlio del padre, con tutte le immaginabili fantasie di moda! I Vangeli mostrano di credere fosse solo un ladrone; altri hanno inteso la sua figura come quella di un ribelle politico. La folla sceglie Barabba. Pilato condanna, o, più esattamente, permette che Gesù muoia. Il modo di esecuzione è quello romano nei confronti degli stranieri ribelli. Di questo incerto romano si narrarono poi, nel Medioevo, ogni sorta di fosche leggende.

 I discepoli, deboli uomini anche loro, e non ancora vivificati dalla Pentecoste, sono fuggiti. Senza di Lui, sono anche soli e forestieri a Gerusalemme. Pietro rinnega di aver mai conosciuto Cristo.

 Maria, la Madre, e le altre donne restano vicine, e non ci si cura di probabilmente perché ritenute insignificanti. Diverso è stato l’atteggiamento di Gesù nei confronti delle figure femminili, per le quali Egli mostra una notevole considerazione; e tutto il racconto evangelico è ricco di presenze di donne.

 Compaiono due figure emblematiche: Nicodemo (è un ebreo, ma si noti il nome greco ellenistico), che non osa manifestare la Fede; e da lui prende nome il molto diffuso nicodemismo! e Giuseppe d’Arimatea, che non si oppone ai suoi colleghi del sinedrio, però vorrà onorare Gesù della sepoltura.

 Simone di Cirene, che porterà la Croce, è un ebreo della diaspora, che forse si trova a Gerusalemme per la Pasqua.

 I due condannati assieme a Gesù rivelano comportamenti diversi ed entrambi connaturati nella psiche umana: uno è incanaglito fino alla fine; l’altro rivede la sua vita, e cerca la salvezza negli ultimi istanti.

 Un tratto di alto valore poetico è il momento di riflessione del centurione romano, che verrà poi chiamato Longino, colto dall’illuminazione della divinità del Morto.

 È il primo degli Italiani a convertirsi? Accenno qui solo alla taccia che i crocifissori di Cristo siano stati dei Bruzi: insomma, un’altra calunnia nei confronti della Calabria!

 Ci sarebbe molto altro da dire, e concludiamo con questa paradossale riflessione: se c’è bisogno di una prova della storicità dei Vangeli è proprio in questa umanità vera, e debole, e incerta, e quotidiana, da cronaca, a tratti banale, su cui splende l’umanità di Dio Gesù; ma che è fatta anche di politicanti, e di gente di fede paurosa, e di governanti indecisi, e di discepoli inaffidabili, e di una folla che muta umore. Potrebbe accadere ogni giorno anche oggi, e ogni giorno accade.

 E santa e buona Pasqua a tutti.

Ulderico Nisticò

 

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