La mente e il cuore degli antichi

Per la settimana del cervello, iniziativa mondiale fatta propria, a Soverato, dal Liceo Scientifico, dal Comune e dall’Accademia degli ex allievi, ho scritto questo modesto contributo, che forse interessserà i lettori.

Liceo_Scientifico_di_Soverato Nei poemi omerici si parla di κέαρ [kear] o κῆρ [ker], e καρδία [kardìa]  per l’organo della vita, considerato come parte anatomica; i suoi effetti, le sensazioni e i sentimenti, si avvertono nel petto, στῆθος [stethos], e sono ἔρως [eros], amore, o l’ira che genera coraggio in guerra, θυμός [thymòs]. Come tutti i popoli antichi e come resta nel linguaggio comune e nei dialetti, i Greci attribuiscono dunque al cuore l’attività psichica e la coscienza. Questa, per Platone, è μνήμη [mneme], la memoria che è possesso di valori e conoscenze, mentre l’ὑπόμνησις [ypòmnesis], reminiscenza, è soggetta agli stimoli, e non si attiva se non in presenza di questi.

 La coscienza del cuore si esprime attraverso il μῦθος [mytos], un racconto paradigmatico e normativo, di alto effetto poetico.

 Ma già gli stessi poemi ritengono che la funzione mentale sia esercitata da φρήν [phren], quasi sempre al plurale φρένες [phrenes], la corteccia  cerebrale, il cervello; e anche nel nostro dialetto i pensieri ossessivi si chiamano “frinegli”.

Il mito narra che la dea della guerra fredda e intelligente e della sapienza, Παλλὰς Ἀθηνᾶ [Pallàs Athenà], nasca non dal cuore, ma dalla testa di Zeus.

 La formulazione anatomica della funzione del cervello è attribuita al grande medico Alcmeone di Crotone.

 Tra il μῦθος corporeo e sintetico, e il λόγος [logos] proprio della scienza, c’è una fase di anima fredda, ψυχή [psychè], che è già lontana dall’immediatezza eroica del θυμός.

 Di Ulisse si dice spesso che, prima di agire, si ferma a riflettere: διάνδιχα μήρμηριξε [diàndicha mermèrixe], pensò diviso in due parti, compiendo quindi un’operazione di analisi, che significa alla lettera scioglimento.

 Non è ignota ai Greci la malattia mentale, μανία [manìa]: Ercole e Aiace impazziscono nel senso di avere una visione distorta del reale; le baccanti sono chiamate μαινάδες [mainàdes], le folli, mènadi; Bellerofonte mostra i sintomi della depressione e della misantropia. Non paia strano che la follia sia spesso attestata nella troppo rigida Sparta. Il contrario della follia è l’ἁρμονία [harmonìa], il cui significato originario è connessione funzionale, equilibrio.

 La tragedia mette in scena la catarsi, una sorta di analisi psichiatrica collettiva.

***

 Il cuore dei Latini è cor, cordis; le sensazioni si avvertono nel pectus, e più ancora nei praecordia. La mens è deputata alla logica, e la memoria è quel che si diceva della μνήμη. Atena è intesa come Minerva, con la stessa radice di mente.

Un uomo inattendibile è follis (leggero); comunemente, pathicus, dal greco πάθος [pathos], incontrollata sensazione, donde pazzo.

 Di torpor dice di soffrire Catullo, una sorta di depressione. Altri la chiamano veternus, la malattia dei vecchi. Si individua così una distinzione tra intelletto della mente e volontà della coscienza.

 Ma anche i Romani sanno che c’è un’attività intellettuale del cervello, se Fedro usa questa crudele battuta per una maschera: quanta species cerebrum non habet.

 Dante, nel V del Purgatorio, attesta la credenza medioevale che il sangue fosse la sede dell’anima.

Ulderico Nisticò

 

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