17 marzo: come nacque il Regno d’Italia

regnoditalia Il 17 marzo 1861 a Torino il parlamento (la Camera era stata eletta pochi giorni prima; il Senato era di nomina regia) approvava una legge di un solo articolo, con la quale «Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme ecc. ecc. ecc. Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico. Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli Atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come Legge dello Stato. Dat. a Torino, addì 17 marzo 1861. Vittorio Emanuele C. Cavour. M. Minghetti. G. B. Cassinis. F. S. Vegezzi M. Fanti. T. Mamiani. T. Corsi. U. Peruzzi». [G.Uff. 17/3/1861]”.

 La legge, come si vede, non istituiva il Regno, ma mutava il titolo del re. Da un punto di vista strettamente formale, i territori costituenti lo Stato erano stati, a vario titolo, annessi al Regno di Sardegna, con i seguenti passaggi:

 nel 1859 la Sardegna comprendeva gli attuali Piemonte, con Val d’Aosta; Liguria; la Sardegna isola; Nizza e Savoia;

 con il Trattato di Zurigo del 10 novembre 1859, che poneva fine alla guerra del 1859 (Seconda guerra d’indipendenza), al Regno Sardo veniva annessa la Lombardia senza Mantova;

 il 14 e il 21 agosto si tennero i plebisciti di Modena e Reggio; il 4 settembre, di Parma;

 l’11 e 12 marzo 1860 si tennero i plebisciti di Romagna, Bologna, Ferrara e Toscana;

 il Trattato di Torino con la Francia, del 24 marzo, chiudeva ogni contenzioso; il 15 e 16 e 22 e 13 aprile plebisciti palesemente falsi ma accuratamente legali sancivano la cessione alla Francia di Nizza e Savoia;

 mentre Garibaldi marciava speditamente verso Napoli, dove entrava il 7 settembre, e minacciava di raggiungere Roma, Napoleone III spingeva il governo di Torino all’intervento militare; il 21 ottobre si svolsero i plebisciti di Napoli e della Sicilia; il 4 novembre, battuti i pontifici, si tennero plebisciti anche nelle Marche e nell’Umbria.

 I numeri dei plebisciti furono, come tutti i plebisciti, rasenti l’unanimità: poco credibili, dunque, ma bisognava ratificare formalmente lo stato di fatto.

 Plebisciti e trattati ponevano giuridicamente fine a tutti gli Stati preesistenti, e ai titoli che sopra di essi insistevano: duca di Savoia, conte di Nizza, duca di Parma e Piacenza, duca di Modena, granduca di Toscana, re del Regno delle Due Sicilie; e lasciavano sopravvivere il titolo di re di Sardegna con quelli medioevali di Cipro e Gerusalemme, eredità dei Lusignano e dei Monferrato; e gli innumerevoli titoli piemontesi. Il Principato di Monaco restava indipendente, ma nell’orbita francese.

 Con la legge 17 marzo 1861, sparivano anche gli antichi titoli sabaudi, e invaleva solo quello di re d’Italia. Quanto alla numerazione, Vittorio Emanuele restò Secondo, per evitare confusione con Vittorio Emanuele I (1802-21). Intanto guerre e plebisciti aggiungevano al Regno d’Italia anche Veneto e Lazio.  Il successore di Vittorio Emanuele, Umberto, assunse la numerazione di I perché dopo il mitico Umberto Biancamano, stranamente non c’era stato alcun altro Umberto di Savoia.

 Nel 1918-20 passarono all’Italia Trentino e Alto Adige, e Venezia Giulia, Trieste, Istria, Zara; nel 1924, Fiume.

 Nel 1936 Vittorio Emanuele III venne proclamato imperatore d’Etiopia; nel 1939, re d’Albania. Tali titoli vennero abbandonati di fatto dopo il 1943. Il referendum del 1946 (dubbio anch’esso, ma chi di plebiscito colpisce, di referendum perisce!) abolì anche il titolo di re d’Italia.

 Sarebbe stato meglio, nel 1861, un assetto confederale o federale, e una lenta e prudente integrazione, come stava facendo da decenni a Prussia e come nascerà la Germania nel 1871: ma l’Italia era quella che era, e l’occasione federale era stata persa nel 1848. Così andarono le cose, e non andarono molto bene: diciamo, nell’unico modo possibile per l’unione politica, e a prezzo di un’unificazione frettolosa e forzata.

 La colpa politica fu dei Borbone che non si difesero in battaglia; e dei liberali napoletani che non seppero trattare con il Piemonte, e, semplicemente, si sbracarono. La stessa pessima classe politica e intellettuale del Sud, nel 1861 come nel 2015; e, temo…

Ulderico Nisticò

 

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