La Calabria, la lettura e il sondaggio di Amazon

La Calabria, la lettura e il sondaggio di Amazon. Tre approfondite analisi giornalistiche e socio-culturali a confronto, dopo la classifica redatta dal colosso di Seattle sui lettori di libri e giornali. Il giornalista Vincenzo Pitaro se ne occupa sulla pagina culturale di Gazzetta del Sud e gli scrittori Mimmo Gangemi ed Enrico Miceli, su Il Garantista.

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 Se gli scrittori calabresi non sono profeti in patria
di Vincenzo Pitaro

FOTO - 1 Mesi addietro, quando giornali e tv diedero la notizia della dipartita di Saverio Strati, molti studenti calabresi (e persino alcuni docenti) rivelarono «candidamente» di non sapere con precisione quali libri avesse scritto. Eppure lo scrittore di Sant’Agata del Bianco, peraltro vincitore del «Campiello», pubblicò – con Mondadori e altre case editrici – un’infinità di romanzi di successo che esprimevano, e continuano ad esprimere, i dilemmi e i problemi della Calabria.

Come mai questa stranezza, da più parti definita una «scandalosa aberrazione»? La risposta all’interrogativo (di fondo), se andiamo vedendo, la diede – in tempi non sospetti – già lo stesso Strati in una intervista concessami, proprio per la terza pagina di Gazzetta del Sud, nel lontano 1981 e pubblicata esattamente sul n. 308 dell’8 novembre di quell’anno. In quella circostanza, fra l’altro, ebbi modo di chiedergli se pensava, un giorno, di poter tornare nella sua Calabria ed operarvi. Sorridente e con affetto quasi paterno, lui che da un paio di lustri si era ormai trasferito alle porte di Firenze, mi rispose così: «Io sono sempre presente in Calabria con i miei libri. Solo che questi miei libri dovrebbero essere letti e in Calabria purtroppo non si legge. In Toscana o in Piemonte, ogni barbiere e ogni cameriere ha letto Vasco Pratolini o Beppe Fenoglio; ha letto insomma almeno un libro di un autore della sua regione. In Calabria, invece, sono pochi quelli che conoscono gli autori calabresi. Perché?».

Pensate un po’, finanche di Corrado Alvaro, al tempo d’oggi, molti professionisti (medici, avvocati) affermano con seraficità di averne solo sentito parlare, «anche perché è un nome che ricorre spesso in piazze o istituti a lui intestati». E non parliamo, allora, dei vari Nicola Misasi, Vincenzo Padula, Leonida Repaci, Fortunato Seminara, Francesco Perri, Mario La Cava, e via dicendo.

A cosa è dovuto, dunque, questo scarso interesse da parte dei calabresi per la letteratura della regione? A una predisposizione alla lettura pressoché carente? Alla scuola del territorio che non offre stimoli? Se è vero, com’è vero, che la scuola dà solo piccole nozioni e che la vera formazione di ognuno dipende poi dagli studi che si fanno in seguito e per conto proprio – la scuola dovrebbe c’entrare solo in parte. Qualche colpa, tuttavia, potrebbe ugualmente ricadere sulle autorità scolastiche che, dall’alto, hanno sempre cercato d’imporre a tavolino indiscriminati programmi, con «criteri piuttosto discutibili».

Per di più, neanche la Regione (nel conte­sto di un nuovo tipo di regionalismo) ha mai pensato finora – al contrario di quanto avviene, ad esempio, in Sicilia o in altre parti d’Italia – di creare uno stimolo nelle scuole a favore della civiltà lette­raria calabrese. Qualcuno dice: «Non si studiano più neanche gli Ermetici, figuriamoci la letteratura regionale»! Ed è un errore gravissimo. Perché lo studio dei nostri scrittori si sarebbe di certo rivelato estremamente utile per i giovani studenti calabresi. Sarebbe servito a indicar loro – in primis – quanto di impasto culturale e poetico sia possibile cogliere nella storia della Calabria, nel suo lento e faticoso travaglio, a volte finanche incerto, ma pur sempre ricco e consistente di forti linfe.

Nel quadro culturale degli ultimi due o tre secoli della storia regionale, molto importante è anche la tradizione del pensiero filosofico, al quale studiosi di respiro europeo si sono avvicinati con rispetto, indicando la profonda originalità e la forza di penetrazione delle idee.

E ancora: la letteratura popolare, la poesia dialettale che in alcuni poeti ha raggiunto livelli non registrabili altrove, con opere di vario genere dalle quali emergono aspetti di straordina­ria intelligenza, di vivacità, d’ispirazione poetica, di imme­diatezza di rappresentazione e infine di autentica poesia. I nostri poeti dialettali, insomma, hanno lasciato il segno di una grande tradi­zione e le loro opere costituiscono un ricco filone culturale di poesia genuina e originale che conferisce prestigio alla civiltà calabrese, sconosciuta ai più e quasi dimenticata.

Sono in molti, ora in Calabria, a chiedere che nelle scuole s’incomincino a studiare anche gli autori della regione. Ma riusciranno i politici (e non solo il singolo esponente) a coglierne l’importanza? Vedremo.

Vincenzo Pitaro

Gazzetta del Sud © pag. Cultura e Spettacoli in Calabria, di giovedì 26 giugno 2014 © www.vincenzopitaro.it

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 Quando da bambini fuggivamo annodando le lenzuola
di Mimmo Gangemi

FOTO - 2 Ottobre del ‘61. Ero in prima media, in un collegio a Pesaro. dato che in paese le scuole non andavano oltre la quinta elementare. Tentai, assieme a Ettore, la fuga una settimana dopo ch’eravamo arrivati.

Annodammo le quattro lenzuola dei nostri due letti e ci calammo dal secondo piano, di notte. Ettore era a metà discesa quando si sciolse la legatura. E cadde scomposto – mi ricordò un tordo interrotto nel volo dal piombo d’una fucilata. Battè il posteriore tra lo spigolo del marciapiedi e la sabbia della spiaggia. Attaccò a urlare dolore a tutta gorgia. Io ripiegai quatto quatto nella camerata.

Al mattino, fummo i primi collaboratori di giustizia del dopoguerra: Ettore, già prigioniero, accusò me dell’idea e dell’istigazione, io accusai Ettore. Il castigo toccò a entrambi.

La vergogna a indurci a scappare. Perché i calabresi non riuscivamo a esprimerci in un italiano comprensibile, e ci pareva ci ridessero dietro – ci pareva, che, a esserne certi, non ce la saremmo tenuta, la vita in Aspromonte ci aveva insegnato a non lasciare impuniti gli sfottò.

Non masticavamo la lingua nonostante le nostre mamme («menale, professore») incitassero di continuo il maestro. E nonostante il maestro di turno prendesse le parole alla lettera, svariando tra le nerbate di una verga d’ulivo, spellata, che ci abbatteva sibilante sulle spalle, tra la bacchetta rigida con cui ci fustigava le mani – i palmi per le colpe meno gravi, i dorsi per i reati da riformatorio – e tra il sollevarci da terra per le orecchie e scrollarci per aria fino a sanguinarci l’attaccatura dei lobi. Siccome non ne masticavamo, siccome avevamo coscienza ch’era complicato recuperare, siccome non ci andavano giù i risolini più o meno nascosti, l’unica soluzione ci era parso evadere. Quasi cinquantaquattro anni da allora. A me i capelli bianchi e gli occhi che non cedono di tradirmi, il fiato in affanno, e i trigliceridi, il colesterolo, la pressione alta, a Ettore due metri di terra addosso – gli è difettato il cuore in un’età da invogliare sguardi di rancore sul Cielo frettoloso.

Cinquantaquattro anni eppure mi sono comparsi prepotenti, nitidi come se li avessi vissuti ieri, quei tempi antichi, appena ho letto della classifica di Amazon che, tra le 48 città italiane con più di centornila abitanti preso a campione, piazza Reggio buon ultima nella classifica di acquisto di libri, siano essi romanzi, saggi, eBook. Una maglia nera che si aggiunge ad altre: già l’indagine Ocse/Università di Pisa ha messo i quindicenni calabresi all’ultimo posto, tra le 36 nazioni più sviluppate, nella classifica di comprensione della matematica, delle scienze e della lettura. Le prove che non hanno funzionato le esortazioni delle mamme a che apprendessimo anche a rischio di sangue, né la meticolosa ubbidienza in quella direzione dei maestri, con metodi che oggi sarebbero da prima pagina nei Tg e da manette e che allora parevano normali, com’era giusto fossero, a ogni parte in causa, alunni compresi. Le prove che la scuola non ha funzionato a quel tempo e continua a non funzionare adesso, se nei più produce ignoranza, non riesce a indurre stimoli a far sorgere l’idea d’imparare, di un approfondimento, se il libro non sa diventare compagnia, evasione, volo di fantasia, sogno, libertà e resta ostile, un nemico a cui frapporre matasse di filo spinato, cavalli di Frisia. Le prove che il risveglio letterario dei calabresi di cui si è blaterato in questi anni, dentro e fuori la Calabria, è un’altra illusione, dato che non la confortano i numeri. Le prove che nemmeno i tanti autori calabresi emersi di recente hanno stimolato, incuriosito, fino a farsi leggere almeno loro. Le prove che abbiamo mantenuto stabile, se non allargato, il divario che allora indusse me ed Ettore alla fuga. Di peggio, che oggi non c’è più la vergogna che portò noi a comporre’ una corda con le lenzuola. Il dato Amazon assume una gravità più allarmante per Reggio, se si pensa che da qualche anno la Calabria nella sua interezza ha cessato d’essere ultima nella classifica di lettura, avendo messo dietro, seppure di poco, quattro regioni del Sud. È un’altra negatività su cui riflettere. Per trovare rimedi. Per far crescere l’idea d’invertire rotta finalmente, sollecitando l’impegno e promuovendo il merito, senza più accomodare un voto, una promozione, un esame, una laurea. Prendere coscienza che ci facciamo male da soli è un primo passo per progredire e ricostruirci migliori.

Mimmo Gangemi
Cronache del Garantista Calabria, pag. «Culturama» (16), del 25 giugno 2014

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 Qui dove i libri rischiano l’estinzione
di Enrico Miceli

FOTO - 3 «L’industria culturale è il terreno su cui opera la nostra cultura. Non potrebbe essere diversamente. Se Honoré de Balzac scriveva capolavori nella forma del romanzo, ciò è perché l’industria culturale dell’epoca chiedeva questo genere». Non ricordo se la frase in questione sia di Edoardo Sanguineti o di Federico Moccia, ma tant’è, non fa differenza. Anche perché, a ben vedere, l’industria culturale di oggi sembra vivere la stessa agonia del cecchino di «Full Metal Jacket» che, con un buco nello stomaco e gli occhi sgranati, implora il soldato Joker di mettere fine alle sue sofferenze. Insomma, l’avrete sentito dire, l’industria culturale italiana, esclusa qualche eccezione, non se la passa molto bene. Più in dettaglio, l’industria editoriale vacilla. Ancora più in dettaglio, l’industria editoriale calabrese è praticamente moribonda. Stando a un recente sondaggio diffuso dal sito Amazon.it che analizza il rapporto «città italiane/libri letti», l’unica città calabrese in lista, Reggio Calabria, è fanalino di coda. Libri cartacei, eBook, romanzi rosa, cucina, business. benessere e viaggi. Sette classifiche. Ben 48 le città in esame. Reggio Calabria, dimostrando se non altro un’assoluta coerenza, è ultima in ognuna delle sette categorie. Ora, chiaramente il sondaggio è relativo agli acquisti fatti sulla piattaforma Amazon.it, il che rende il dato certamente parziale e opinabile, inoltre non prende specificatamente in considerazione categorie di titoli ben più rilevanti, come ad esempio la saggistica, i romanzi classici ecc, ma si tratta senz’altro di un indicatore significativo che sembra confermare una percezione largamente diffusa, che riguarda non solo Reggio ma l’intero territorio calabrese. Insomma, in una nazione come la nostra in cui si legge davvero troppo poco, noi calabresi leggiamo ancora meno. Gli operatori del settore si difendono dalla crisi come possono, alcune librerie aderiscono ad iniziative come il «libro sospeso» (grossolanamente: libri già pagati da qualcuno e messi a disposizione di chi intende leggerli), altre diversificano l’offerta vendendo prodotti hi-tech o quant’altro, ma a ben vedere il problema resta.

Ed è sì un problema di tipo economico che riguarda buona parte della filiera della carta stampata: se i libri non si vendono i gruppi editoriali zoppicano, i piccoli editori soffocano e le librerie indipendenti (e non solo) entrano in crisi o chiudono. Ma, a rifletterci su, è soprattutto un problema di tipo sociale. La cattiva educazione alla lettura produce analfabetismo funzionale. Difatti, secondo uno studio promosso dell’Ocse, il 46% circa degli italiani dai 16 ai 65 anni non è in grado di comprendere davvero il senso di alcune letture: dai contratti scritti fino ai manuali, dagli articoli di giornale fino ai saggi o ai romanzi (il dato è allarmante e risulta essere il più alto d’Europa). Un elevato livello di analfabetismo funzionale, a sua volta, rende una popolazione incapace di verificare la qualità delle nozioni ricevute, informandosi o studiando poco e male. Si crea così, in un sistema caotico, una popolazione molto più soggetta alla falsa informazione e alla propaganda di alcuni media e, in estrema sintesi, molto più manipolabile. In un contesto simile diventa molto difficile individuare un colpevole unico (al di là della fallibilità oggettiva dell’attuale sistema socio-economico e del suo rapporto con il Potere). Ma se individuare un colpevole è decisamente complesso, ipotizzare una soluzione sembrerebbe quasi una banalità: la battaglia al declino culturale deve essere combattuta sul campo dell’istruzione e dell’apprendimento, a partire dalle scuole e dagli istituti formativi. Forse un luogo comune che però a ben vedere, a mio avviso, contiene del vero. O forse, boh, chissà, alla fine aveva davvero ragione quel tale che diceva che «il popolo non legge. Lavora sei giorni alla settimana e al settimo se va in osteria».

Enrico Miceli
Cronache del Garantista Calabria, pag. «Culturama» (16), del 25 giugno 2014

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