Beni culturali in Calabria e loro dimenticanza

bronzi-di-Riace Non è vero che i beni culturali in Calabria sono sconosciuti. Ne esiste una catalogazione abbastanza dettagliata; e, nei casi opportuni, s’interviene con vincoli e qualche volta persino con scavi e adeguate operazioni. Esistono musei e raccolte varie.

 Il problema è che tutto questo e quant’altro, esistono sì, ma non sono popolari. Fior di intellettuali ufficiali e che passano per “grandi uomini di cultura” mi hanno confessato di non aver mai messo piede a Roccelletta, ovvero Scolacio. E sono certissimo che legioni di Soveratani Marina laureati non sono mai andati a vedere la Pietà di Soverato Superiore.

 I mitici Bronzi in questi giorni paiono andare di moda, dopo il restauro, ma per decenni sono rimasti soli soletti nella loro fredda stanza come Turandot.

 Uno potrebbe pensare che si tratta di analfabetismo eccetera, e invece, come detto sopra, gli assenti dai beni culturali sono tutti diplolaureati; alcuni anche del mestiere, tipo professori di lettere storia filosofia arte e roba del genere. Siccome non si tratta di mancanza di scuola, la causa dell’indifferenza dev’essere più profonda, diciamo così psicanalitica.

 Ragazzi, un essere umano normale va a vedere un bene culturale per due possibili ragioni o per tutt’e due assieme: una ragione professionale, o la ricerca di emozioni.

 La ragione professionale riguarda pochissimi. Per esempio, se leggo la lapide di Gavius che si trova a Roccelletta, e trovo scritto “maxsuma” invece del solito “maxima”, in me scattano problemi di linguistica latina che al 99,9 dell’umanità non interessano, e sarebbe davvero una bella pretesa che gliene importasse qualcosa della conservazione della u derivata da o al posto di i! In questo caso, come leggete, l’interesse è meramente da addetto ai lavori.

 Pagato però il tributo alla mia professione, allora io lascio perdere la glottologia etc, e mi chiedo chi sia mai stato questo Gavio che dedicò qualcosa alla sua Fortuna, la dea che lo aveva fatto nascere schiavo e poi liberato e poi ricco, mentre poteva accadere il contrario o qualsiasi altra cosa: Fortuna, cioè sorte, Tykhe, Caso. Chissà se Gavio, dovizioso liberto, fu un uomo rozzo e tracotante come Trimalcione di Petronio, o un’anima gentile che seppe ricordarsi di quando era povero e fece del bene ad altri sfortunati? Chissà: ma il prossimo dramma storico che scrivo, mi devo ricordare di lui.

 Nell’Incanto della stella ho fatto intervenire Decimio (qui torna la deformazione professionale: avrei dovuto dire Decimione, ma pareva uno grasso!), quello che, a Scolacio, donò alla città i gradoni del Capitolio, probabilmente perché era in campagna elettorale e voleva essere eletto duunviro o decurione! Eh, la politica! Ecco come un bene culturale può diventare emozione, almeno per me che scrivo; e spero anche per gli spettatori.

 Dove voglio arrivare? Che se un castello, un monastero, un bene qualsiasi non suscitano emozioni di qualsiasi genere, non li andrà mai a vedere nessuno, a parte quattro gatti del mestiere. Forse.

 Fin quando i due poveracci di Reggio saranno chiamati Bronzo A e Bronzo B come i moduli delle tasse, il solo interesse che riusciranno a destare sarà per le ben note battute qui irriferibili. Dovremmo inventarci un nome, una storia; o che di notte vagano e vanno a trovare la Fata Morgana…

 Dite voi, ma alla Fata Morgana tu ci credi? Io? No, ed è per questo che me la posso inventare, e farle fare qualcosa di simpatico o di truce come le Malombre del futuro lavoro… beh, aspettate! Perché invece non riescono a scuotere i cuori quelli di Ulisse e roba del genere? Ma perché ci credono, pensano che davvero un tizio di nome Ulisse (se hanno studiato lettere, Odisseo), uno vero dico, con piedi e mani, sia sbarcato a S. Eufemia e abbia incontrato una vera ragazzina, tale Nausicaa. Ovvio che non è così; e allora, se io so che Ulisse e Nausicaa eccetera non sono mai esistiti, posso farne quello che voglio, tipo Dante che non fa tornare a Itaca il ramingo eroe.

 Esempi o importante: ai primi dell’Ottocento in Inghilterra si scatenò la letteratura storica, cominciando con Ivanhoe di Walter Scott, fonte poi di infiniti film alcuni dei quali di notevole valore. Uno storico troverebbe molto da ridire nella figura di Riccardo Plantageneto Cuor di Leone, che viene trasformato in patriota inglese da burbanzoso feudatario normanno e francese qual era; e nella finale riappacificazione tra Normanni e Sassoni… Ma pazienza, è un romanzo. Perché piace? Ma perché è una storia possibile, senza ideologie e buonismi e attivismi, e perciò convincente, coinvolgente, violento, intenso…

 Da noi, in questa terra di Calabria, dilagano invece le più tediose prediche di improbabili moralismi, in genere campati in aria, per i quali fin dalla prima scena di un film o pagina di racconto si sa benissimo come andrà a finire: e che noia!

 Insomma, amici miei, se vogliamo recuperare i beni culturali in Calabria, bisogna renderli stuzzichevoli, e liberarli da eruditi e topi di biblioteca e professori che sanno ragionare solo in termini di economia! Urge restituire alla loro natura umana i fori e i castelli e i monasteri…

 I monasteri? Ma sono occasione impareggiabile di racconti di ogni genere, giacché nei secoli furono abitati da pochi santi, pochi dotti e tantissimi tipi strani e loro drude; e vi si pregò e si peccò; e si uccise e si nacque; e, ovviamente, nelle rovine abitano fantasmi inquieti in cerca di pace o alla custodia di tesori maledetti. Ma è vero? Boh: quello che è certo è che arriveranno curiosi.

 Ma lo volete sapere che mondo corre? Che l’intellettuale calabrese, esclusi i presenti, è un depresso che convive benissimo, e retribuito, con la depressione.

Ulderico Nisticò

 

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