Il mio D’Alema

 No, tranquilli, nessun riferimento alle elezioni di Soverato; e mio lo dovete intendere nella maniera meno personale possibile: solo che uso l’occasione della sua presenza a Soverato per una lezioncina sul Sessantotto, un fenomeno a proposito del quale c’è un immaginario non molto corretto.

 Io, per le ragioni anagrafiche dell’essere nato il 27 maggio 1950, m’iscrissi a Pisa nell’autunno del 1968. Trovai l’Università, e Lettere in specie, in piena agitazione studentesca, e, in perfetta e consapevole antitesi con il capitolo 38 dei Promessi Sposi (“ho imparato a non mettermi nei tumulti”), decisi di infilarmici al volo. Non posso dire di aver avuto tutte le mie idee molto chiare, ma ero in ottima compagnia di utopie e ragionamenti rivoluzionari di ogni segno. Se, infatti, il mio ambiente, quello dei fascisti, progettava soprattutto il ritorno dell’Italia alla piena sovranità con l’uscita dalla NATO e, in politica interna, la socializzazione delle imprese – bazzecole, come vedete! – i più, che erano vagamente marxiani, ritenevano imminente la rivoluzione proletaria. Quelli eravamo lontanissimi dal postfascismo ufficiale, soprattutto il mio Gruppo nazionalpopolare, di cui sarei divenuto segretario; questi, i compagni, evitavano come la peste il Partito Comunista, ritenuto, del resto giustamente, una componente del sistema esattamente come la Democrazia Cristiana. Si andava avanti ad assemblee infuocate.

 Una parentesi per i meno anziani. Dormite tranquilli, non ci fu nessun 18 politico, nessun esame di massa con Mao: l’Università di Pisa, che aveva resistito alla sconfitta della Meloria e al governo del conte Ugolino, se ne impipava delle belle parole sedicenti eversive; e rimase famoso lo schiaffo, schiaffo con la mano non morale, dato in pieno esame a un tipetto dal professor Bolelli. Ma era Bolelli, un’autorità della glottologia. Esami seri, come vedete!

 Io acquistai subito fama quando, alla prima lezione di filosofia con il preside Badaloni, sindaco PCI di Livorno, gli dimostrai con un serrato intervento la superiorità dell’idealismo sul materialismo di Marx. Egli, che era stato tra gli allievi di Gentile, s’impaperò non poco.

 Dite voi, bravo: ma che c’entra D’Alema? Niente, infatti, con il Sessantotto non c’entra. Egli frequentava il secondo anno di Lettere, però, a differenza dei compagni, era non solo iscritto al PCI, ma segretario provinciale della FIGC, l’organizzazione giovanile del suo partito; e questo bastava perché i sessantottini lo evitassero come il vaiolo.

 Due aneddoti, il secondo molto rilevante sul piano storico. Il primo è banale: dopo un mio intervento in assemblea, il D’Alema mi fece pervenire una specie di sfida a farmi vedere da solo (quasi superfluo, eravamo quattro gatti, i camerati: buoni, ma pochi), e io risposi in maniera che non posso riferire perché siamo in fascia protetta e ho lettori minorenni. Non se ne fece nulla.

 L’altro ha una certa rilevanza storica, per chi la sa leggere. Correva l’anniversario dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia, e i gruppi di Lotta Continua, Potere operaio, La sinistra e altri extraparlamentari tennero un’assemblea per interrogarsi sul senso del comunismo che professavano. Due giorni prima il fiore dei rossi di Pisa vennero di persona a invitare me, nella veste di segretario del Gruppo Nazionalpopolare, a partecipare ufficialmente all’assemblea; cosa che io feci di buon grado. Non invitato, Massimo D’Alema nella veste di segretario provinciale giovanile del PCI; ed egli il giorno dopo tappezzò Pisa di manifesti stizziti con il solito linguaggio dei comunisti di allora: “I compagni etc fanno il gioco dei fascisti del Gruppo Nazionalpopolare”!

 D’Alema, D’Alema! Nessuno fece il gioco di nessuno, e mentre i suoi compagni extraparlamentari e il sottoscritto stentano a campare, egli faceva le vacanze a Mosca; diveniva deputato; poi presidente del Consiglio, e come tale fece due cose sole: la guerra alla Serbia (ridete); e cacciare a pedatoni il Berlinguer che voleva tentare una riforma della Scuola, e mettere al suo posto quell’inoffensivo vocabolario di De Mauro. Basta, non abbiamo altre notizie di eventuali sue glorie.

 Poi gli diedero da presiedere una Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, che si riunì e blaterò e fallì clamorosamente. Grazie a Dio che è arrivato Renzi.

  Firmò poi dei libri pubblicati dalla Mondadori di Berlusconi.

 Ultimamente si è sentito di striscio nominare a proposito di Unipol e di Monte dei Paschi e vino: ma sapete meglio di me che tutti sono innocenti fino a sentenza definitiva, soprattutto quando la sentenza non c’è.

 Ora tenta l’opposizione interna nel PD, ma il suddetto Renzi se ne frega.

 Come avrete capito, ho un bel mucchio di motivi per non voler vedere D’Alema manco oggi che arriva a Soverato.

Ulderico Nisticò

 

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