Soverato – Indagini e sentenze fai da te di Marisa e Francesco

edificio Beati quelli che non vengono mai sfiorati dall’Angelo del dubbio, e sono sempre sicuri di qualche cosa. Viene trovato orribilmente morto un poveretto, che si sa solo essere un indiano che viveva in condizioni precarie. Sono sicuramente in corso delle indagini, certo difficili e che non è detto portino alla verità e alla cattura del colpevole, o dei colpevoli… Come accade spesso, purtroppo, soprattutto quando qualcosa accade in ambienti ai margini, in luoghi e tra persone che non hanno, per diverse circostanze, una loro normale evidenza. Già: se io domani decidessi di andare a vivere a Treviglio, provincia di Bergamo, oppure a Siracusa o a Bari, avrei una casa, un allaccio ENEL eccetera, e sarei subito rintracciato da chiunque mi volesse per qualsiasi ragione, da un amico o dalla polizia. Se invece io sono un “immigrato” che, guarda caso, smarrisce i documenti durante il viaggio (ammesso che i documenti di certi Stati valgano qualcosa), e ho dichiarato un nome qualsiasi, e vivo alla peggio, la situazione oggettiva è molto più indistricabile.

 Chi sono quei giovanotti che chiedono l’elemosina al parcheggio? Come si chiamano? Dove abitano? E quei bambini in braccio a ragazzine, chi sono? dove e quando sono nati? e da chi? da grandi andranno a scuola? eccetera. Ignoti in vita, lo sarebbero anche in morte. Molto difficile, un’indagine.

 A proposito, è una situazione di palese illegalità alla luce del sole.

 Altra cosa, ovvio, è uno straniero immigrato senza virgolette, cioè regolare e che venga per lavoro (“visto turistico” è irritante e ridicolo), e di cui si sappia un nome vero e un codice fiscale.

 Ma veniamo alle indagini. Marisa Gigliotti e il misterioso Francesco senza cognome appaiono, sopra Soveratoweb, informati di tutto: il delitto è frutto del degrado, e anche l’assassino è un degradato eccetera. Perciò, concludono entrambi, bisogna fare questo e bisogna fare quello… E via con inondazioni di quel buonismo così buono che quasi quasi dispiace deluderlo.

 Domanda a entrambi: ma voi avete svolto i compiti che normalmente incombono su giudici e polizia e carabinieri? Sapete com’è andata? Rapina? E di che? Lite? E con chi? Insomma, le domande minime che si deve porre un inquirente. I due giallisti non perdono tempo con pastoie e lungaggini, e vanno dritti dritti alla sentenza: la colpa, alla fine, è della società che non ha fatto questo e non ha fatto quello. Se c’è un colpevole, bisogna prima di tutto rifocillarlo di “generi di prima necessità”: testuale. In galera? Ma no, non sta bene.

 Perché me la prendo con dichiarazioni di filantropia che parrebbero belle e inutili? Ma perché troppo spesso le indagini e le sentenze si fanno sui giornali, o per strada, e in qualche caso interferiscono pesantemente con le indagini vere.

 Per esempio: viene ucciso Fortugno in una serie di circostanze tutte molto strane per luogo, orario, presenza di folla. La mattina dopo gli scolari di Locri, il 90% dei quali non lo aveva mai sentito nominare prima come del resto io, lo dichiarano ucciso dalla mafia e invitano non si sa perché la medesima mafia ad ammazzarli tutti, invito caduto nel vuoto; il Consiglio regionale intitola al Fortugno, in spregio della legge, la sala, eccetera. Chi aveva svolto la benché minima indagine? Ancora nessuno. C’erano testimoni? Due importanti politicanti, pur presenti, si affrettarono a informare essere stati uno al telefono e l’altro, con rispetto parlando, al bagno. E nei mesi seguenti  cortei dei suddetti studenti, e soldi per una radio antimafia che mai funzionò mezzo minuto, e la leggenda metropolitana di un Fortugno vittima della mafia. Le sentenze, tuttora in discussione, arrivano ad appurare a stento che sarebbero coinvolti due tizi senza alcun legame particolare con la mafia. E nessuno si domanda cosa mai avrebbe fatto di tanto importante l’anonimo Fortugno per essere così clamorosamente ucciso.

 Troppe volte un ucciso viene proclamato subito onesto, vittima, in qualche caso persino santo. E questo, a volte, è fumo negli occhi che ostacola le indagini. Se infatti la pubblica opinione più o meno condizionata ha dichiarato che il defunto è un martire, ci vuole un bel coraggio a scoprire che invece, magari, è un birbaccione qualsiasi.

 Proporrei perciò di sospendere il giudizio, anche a proposito del delitto di Soverato, finché almeno un qualche pronunciamento della magistratura non ci dica in qualche modo come andarono le cose. Poi, e solo poi, ne parliamo.

Ulderico Nisticò

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