Santa Severina un caso rarissimo nel meridione

 Santa Severina è risultata, su scala nazionale, terza, e prima nell’Italia continentale, al concorso “Il borgo dei borghi” indetto dalla trasmissione RAI Kilimangiaro.

 Esprimo la mia soddisfazione personale, come amico della città. Per spiegare il mio rapporto con Santa Severina e i suoi abitanti, vi basti questo: quando io mi ci reco per qualche ragione (l’ultima, ho fatto rappresentare un mio lavoro teatrale), e arrivo in piazza (nto Campu), nessuno mi saluta, ma semplicemente riprendo il mio posto nella passeggiata e la conversazione lasciata la volta prima. È un po’ il mio paese, nessuno si chiede che ci faccia io lì.

 Pagato però il giusto tributo all’affetto, bisogna che tragga spunto dalla notizia per delle riflessioni non solo e non tanto culturali, quanto di natura concreta e operativa. Quando, negli anni 1970, conobbi Santa Severina, e poi tra il 1979 e l’82 vi insegnai e abitai, ebbi subito questa strana impressione: Liceo Classico di buon livello, cultura diffusa, monumenti e memorie storiche; strutture cittadine nettamente inferiori al più disperato dei paesini interni del Soveratese: non un punto di ristoro, a stento due negozietti, i giornali arrivavano avventurosamente. Soli forestieri, i professori, una categoria sociale che, esclusi i presenti, è notoriamente poco portata alla socializzazione. Turisti, meno che zero.

 Succede il miracolo verso gli anni 1990: viene restaurato il castello. Siccome bisogna sempre dire la verità, ci fu lo zampino di Agazio Loiero, nativo del paese, con il sindaco Rizza. Il venerando edificio, molte volte ristrutturato nei secoli, era adibito a Liceo, in condizioni assai incerte, diciamo così. Rinacque nella sua natura di maniero; si scavarono i misteriosi “catabussi”, i sotterranei; emersero affreschi bizantini e tombe e oggetti… Negli anni seguenti si mise mano alla cattedrale, alle due chiese sovrapposte di Santa Filomena e Pozzolio, al Museo diocesano, a Sant’Antonio, a Santu Ponta… Insomma, tutto il paese rimesso a nuovo, anzi, a vecchio, ma con filologia e archeologia.

 Ma tutto questo non è nulla, senza una decisa volontà popolare e una consapevolezza culturale. L’elaborazione culturale non era mai mancata: ricordiamo la rivista Siberene dei primi del Novecento, gli scritti di Silvio Bernardo, la presenza di Rohlfs, Orsi, Gigante; il gran lavoro teatrale di Nino Pala con i ragazzi del Liceo. Il restauro dei monumenti diede una sferzata di nuova energia. Il sindaco Bruno Cortese e don Serafino Parisi, oggi parroco, diedero vita alla Libera Accademia di Lingue Europee e Orientali (LALEO, in greco, io parlo), che strinse rapporti internazionali assai intensi e fecondi: si ricorda la solenne visita del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I. Hanno vita, ancora per l’opera di don Serafino, i preziosi “Quaderni siberenensi”. Sono stati pubblicati importanti libri, tra cui lo studio di Francesco Le Pera e Salvatore Pancari sulla Metropolia.

 Tutto questo e quant’altro (e di molto mi onoro che magna pars fui e sono) hanno causato un viavai di visitatori e turisti e scolaresche; ed ecco nascere attività di accoglienza e ristorazione prima ignote, e che oggi lavorano e danno lavoro.

 Santa Severina e Altomonte, e meno organicamente, qualche altro luogo come Gerace e Rossano, sono i rarissimi esempi di turismo culturale in Calabria. Il resto è balneazione, cioè sbattere i forestieri a rosolarsi sulla spiaggia, e fine. Altrove, e spesso con manco la decima parte del nostro patrimonio, campano alla grande; e basta una mezza torre, una chiesa, per far di un paesino umbro la meta di gite. Noi non lo facciamo, anche e soprattutto perché i nostri dotti sanno solo l’antimafia segue cena; e sono quelli di Bronzo A e Bronzo B come i moduli dell’INPS. Santa Severina è un caso rarissimo nel Meridione. Il borgo, dopo questo successo nazionale, vedrà esaltate le sue fortune, e nuova linfa di turismo e di attività. Ad maiora, amici miei sanseverinesi, ve lo meritate.

Ulderico Nisticò

 

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